Palazzo Serra di Cassano, appartenente alla famiglia genovese Serra di Cassano,  è un piccolo palazzo nobiliare in stile  barocco napoletano di cento stanze situato in Via Monte di Dio nella zona di Pizzofalcone, attualmente sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

 Le stanze visitabili sono quelle di rappresentanza situate al piano nobile dell’edificio.

L’ingresso principale, attualmente sbarrato (foto  a sinistra) e situato nel cortile ottagonale, affaccia su Via Egiziaca che collega direttamente Palazzo Serra a Palazzo Reale e verso cui è rivolta la scalinata monumentale; mentre l’attuale accesso al palazzo (foto in basso a destra) si trova dalla parte opposta, sul lato posteriore dell’edificio, in Via Monte di Dio e questo era l’ingresso di servizio attraverso il quale si entrava nel cortile di rimessaggio delle carrozze e dei cavalli.

La chiusura del portone principale fu ordinata da Luigi Serra di Cassano in seguito ai drammatici avvenimenti del 1799 che videro coinvolto suo figlio Gennaro. Gennaro Serra nel 1799 si schierò, insieme a suo fratello, a favore dei giacobini napoletani, assurgendo a capitano della Guardia Nazionale della Repubblica Napoletana. I due fratelli avevano studiato in Francia, quindi erano vicini agli ideali della rivoluzione francese e, appena sentirono che i fermenti rivoluzionari stavano arrivando a Napoli, decisero di collaborare nonostante fossero nobili.                                                                             

Per questo subiranno la vendetta di Maria Carolina che dopo aver appreso delle sorti di sua sorella Maria Antonietta ghigliottinata in Francia, pur essendo stata vicina agli intellettuali del Regno e ai medici, filosofi e avvocati napoletani (aveva persino redatto il primo statuto della fabbrica di San Leucio che parificava donne  e uomini lavoratori alla stessa misura  con un’equa e paritetica

retribuzione), fa un voltafaccia e non vuole più saperne degli intellettuali e dei professionisti “illuminati”. Così da Palermo espresse, in una famosa lettera  al Cardinale Ruffo, tutto il suo odio nei confronti dei giacobini e di liberare Napoli dalla loro influenza. Gennaro Serra insieme ad Eleonora Pimentel verranno prima arrestati e condotti alla Vicaria, poi condannati a morte.

In segno di lutto Luigi, che aveva anche lui partecipato alla vita politica e intellettuale napoletana, “sbatte in faccia” il portone del Palazzo Serra al re e lo chiude in segno di lutto perpetuo.

Il portone non sarà mai più riaperto tranne nel centenario della rivoluzione napoletana e in occasione della visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Ingresso su Via Monte di Dio visto dall’interno

Luigi Serra di Cassano, sposato a una duchessa napoletana amica di Carolina, Giulia Carafa, apparteneva ad una famiglia di ricchi banchieri, importante banchiere lui stesso, come ci è confermato dalla ricchezza del suo palazzo al cui interno vi era una galleria d’arte e un’enorme biblioteca di 8000 volumi. Luigi lo eredita e commissiona all’architetto Ferdinando Sanfelice (conosciuto come Ferdinando “lievt ‘a sott” perché progettava scale aperte e strutture vorticose che si temeva crollassero) la sua ristrutturazione.

 In particolare la scalinata monumentale  del Sanfelice è di grande pregio: realizzata in piperno (pietra grigia) e marmo di Carrara è ad ali di falco, con le due rampe iniziali che partono dal corridoio centrale che conduce al cortile ottagonale;  inizialmente, entrando dall’ingresso principale ormai chiuso, si vedeva lo scalone e l’ingresso servile.

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La scalinata monumentale

Sul muro della scala principale si trova una targa commemorativa che ricorda alcuni tra i rivoluzionari giustiziati (foto sotto a sinistra, scritti in parte perchè vi era una distinzione di trattamento tra nobili e plebei: i nobili venivano uccisi per decapitazione (venivano decollati) con la scure o la ghigliottina perché procurava meno sofferenza e la gente comune tramite impiccagione (ad Eleonora Pimentel, pur essendo nobile, non verrà concessa la decapitazione per sfregio da parte di Carolina). I corpi venivano seppelliti nella fossa comune della Chiesa del Carmine in piazza del Mercato.

Particolare della targa

L’avvocato Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, racconta che nelle sale di questo palazzo i giacobini napoletani, dopo a fuga della famiglia reale, giurarono fedeltà alla Repubblica e dettero vita al nuovo governo, con l’opposizione della plebe del Regno, i lazzari, e con l’avallo dei francesi.

INTERNO

SALA 1

L’interno del palazzo è situato al primo piano. La prima sala, nonché vestibolo d’ingresso, è un ambiente  molto raffinato con le pareti decorate ad affresco con la tecnica del “tromp-l’oeil” ossia finte architetture che sembrano fuoriuscire dall’affresco stesso,  utilizzando prospettiva e chiaroscuro (foto sotto a destra).

Sul soffitto è presente lo stemma con il motto della famiglia Serra: “Conoscere il passato per vivere il futuro” (foto a lato).

La famiglia, molto colta, credeva negli ideali illuminati per cui i salotti  non erano luoghi di ozio ma di scambio culturale e coloro che li frequentavano avevano conoscenze di letteratura, teatro, filosofia e sapevano discutere consapevolmente di teorie culturali.

Gli affreschi tromp-l’oeil sono collocati nella zona che ospita una piccola parte della biblioteca di famiglia e lo stile è di Bibbiena, uno scenografo che studiava gli allestimenti teatrali trasferendone nella pittura gli stessi principi al fine di evitare la sensazione di chiuso e angusto che uno spazio avrebbe potuto suggerire.

SALA 2

La sala successiva, chiamata dapprima “Sala dei paesaggi”, poi “Sala della filarmonica”,  è caratterizzata da pareti color giallo ocra e marrone chiaro a rappresentare paesaggi tipici non napoletani ma delle varie città che gli intellettuali e i benestanti del tempo visitavano durante i “Grand Tour”, passatempo in voga nel ‘700.

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Si trattava di interrail, ossia viaggi in treno alla scoperta delle più belle città europee. Tavoli e console della sala sono in stile “impero” in legno bianco laccato, decorati da colonnine sporgenti.

La sala funge da diaframma alla Sala degli Specchi e nella parte alta delle  porte si trovano sopraporta con stemmi raffiguranti strumenti musicali ad indicare la finalità a cui la stanza era preposta (foto a lato).

SALA 3

La Galleria Neoclassica o “Sala degli specchi”, chiamata così per la presenza di numerosi specchi ormai anneriti a causa dei fumi delle candele e del trascorrere del tempo, era utilizzata come sala di ricevimento.

In queste stanze si incontravano gli intellettuali tra cui Cirillo, Pagano, Pimentel per discutere dei problemi che affliggevano il regno e della motivazione della loro aspirazione alla repubblica: le casse dello stato erano a terra , la monarchia spendeva eccessivamente, mentre il popolo era ridotto alla fame e non godeva dei diritti civili.Essi avrebbero    desiderato      inoltre un’Università Illuminata ed una presenza del clero meno condizionante.Uno di questi incontri fu incentrato sulla necessità  di eliminare l’odiosa gabella, una tassa che la corte borbonica doveva pagare alla Chiesa in qualità di sua feudataria. Tutto questo dimostra quanto fosse profondo il divario culturale fra intellettuali e  popolazione  che per l’80% era analfabeta.

Possiamo constatare che la Repubblica non si è potuta consolidare proprio perché la classe intellettuale era molto avanzata per quel periodo, la gente non comprendeva gli ideali repubblicani e pensiamo che la Pimentel, durante le arringhe tra la gente, si portava dietro qualcuno che traducesse in dialetto per essere capita dal popolo. Invece in Francia, durante la rivoluzione, il governo rivoluzionario era sostenuto dalla ricca borghesia e dal ceto medio borghese; al confronto i giacobini napoletani erano isolati perché il popolo era pronto a sostenere chiunque gli consentisse il necessario per sopravvivere ed era fortemente legato ai parroci che spalleggiavano la corte.

SALA 4

La sala da pranzo, che era una stanza di collegamento, era adornata con specchi, caminetto e numerose teche con porcellane familiari, le sedie sono intagliate in ebano. Al posto degli affreschi c’è la seta sulle pareti e broccato nel tendaggio. Sono presenti decorazioni che raffigurano divinità e Muse, in riferimento al ritrovamento  dei resti delle città vesuviane di Ercolano e Pompei avvenuta proprio nel periodo borbonico. Le decorazioni e gli affreschi pompeiani diventano moda, specie quelli architetturali.

SALA 5

Questa stanza non è molto grande e importante come altre, però sono esposti  trofei di caccia, a simboleggiare la passione di famiglia per questa attività. Particolarità di questo ambiente è la presenza di una porticina utilizzata dai domestici del palazzo per accedere alle loro stanze.

SALA 6

La Sala delle Quattro Stagioni detta anche “Sala Mattia Preti”, è dedicata ad un’artista molto ricercato che ha firmato il quadro appeso alla parete che rappresenta “Il giudizio di Salomone”: il re, di fronte a un bambino rivendicato da due donne, per scoprire quale delle due fosse la vera madre, adotta lo stratagemma di tagliarlo a metà così la vera madre che tiene al figlio lo avrebbe ceduto pur di salvargli la vita. Il tema scelto non fu casuale, ma si riferiva al “buon giudizio” che bisognava esprimere per fondare un ordine civile e politico in sintonia con gli ideali illuministici.

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In realtà tutti gli intellettuali che si riunivano in queste stanze hanno influito su importanti vicende storiche come la scrittura del testo della Costituzione americana che fu suggerita a Franklin proprio da alcuni intellettuali napoletani; pensiamo che la Pimentel scriveva al Metastasio e a Filangeri che suggerirono ideali civili ai patrioti napoletani consentendo loro di nutrire i valori politici del Risorgimento ottocentesco.

SALA 7

La Sala da Biliardo è caratterizzata dalla presenza di teche che contengono  vestiti originali del ‘700 e di due quadri molto interessanti:

  • il primo, di epoca moderna, raffigura la Pimentel con lineamenti  mascolini poiché l’artista ha pensato che le donne rivoluzionarie dell’epoca  fossero poco femminili visto che il ruolo di sostenitori degli ideali politici spettasse agli uomini; nel quadro è riportata la coccarda della rivoluzione francese e anche una frase pronunciata dalla Pimentel al patibolo “forse tutto questo un giorno gioverà”, ad indicare che i martiri della libertà saranno d’insegnamento per le generazioni future inducendole a battersi per difendere il diritto universale della libertà
  • il secondo dipinto, di Gioacchino Toma, è la riproduzione dell’originale che si trova a Roma e rappresenta Luisa Sanfelice nel suo periodo di prigionia prima di essere giustiziata in Piazza Mercato nel 1800. La sua  esecuzione era stata procrastinata a causa della gravidanza e Toma la presenta  con il ventre gonfio, illuminata da un fascio di luce proveniente dall’alto.

La Sanfelice venne giustiziata poiché nei giorni della rivoluzione si schiera con i rivoluzionari e quando uno dei congiurati contro i giacobini si invaghisce di lei e le confessa di una controrivolta che di lì a poco ci sarebbe stata nei loro confronti, lei andrà a riferire quanto appreso alla guardia dei giacobini che smaschererà la congiura. I due congiurati, fratelli Baccher verranno uccisi dai rivoluzionari e il padre di questi per vendetta, dopo il ritorno a Napoli di Ferdinando IV di Borbone, gli riferisce l’esito della congiura e il nome della responsabile; Ferdinando per accontentarlo decide di farla giustiziare. Al primo colpo il boia sbaglia mira e la ferisce alla spalla; verrà poi finita con un coltello.

SALA 8

Nella Galleria Borbonica si tenevano riunioni e venivano presentati libri; lungo le pareti ci sono molte porte perché nei palazzi reali le stanze erano collegate l’una con l’altra per consentire alla servitù di raggiungerle più facilmente.

Gli angoli della volta   presentano ovali con figurazioni monocrome sui toni del grigio (foto in basso a sinistra); mentre l’affresco al centro (foto in basso a destra) è un tripudio di colori e raffigura il condottiero Scipione l’Africano; le pareti sono ricche di cornici e decorazioni in stucco dorato su fondo chiaro.

Durante la seconda guerra mondiale, per volere del duca Francesco, allora proprietario,  sono state ospitate nel palazzo alcune famiglie di sfollati dopo che parte di Via Monte di Dio fu bombardata; infatti nell’androne sono ancora conservate due bombe: una del 1799, l’altra del ’43 che distrusse soltanto una vetrata di Palazzo Serra, mentre rase al suolo altri edifici limitrofi.

Francesco Serra è stato l’ultimo duca a risiedere nel palazzo ed è il nonno dell’attuale Francesco che abita a Roma dal 1982, il quale, a causa degli ingenti costi di ristrutturazione dopo i bombardamenti della guerra, ha diviso l’edificio in lotti vendendoli.

La parte antica è stata venduta al Ministero dei Beni Culturali che l’ha dato in concessione all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.