
Il Palazzo Reale di Napoli è ubicato in Piazza Plebiscito, dove è posto l’ingresso principale . L’intera area monumentale, di cui fanno parte anche i giardini e il Teatro San Carlo, è situata nel centro storico della città e qui è sempre stato concentrato il potere delle monarchie.
Fu costruito a partire dal 1602 e terminato definitivamente nella seconda metà dell’800. La costruzione fu iniziata frettolosamente perché doveva giungere a Napoli il re Filippo III di Spagna.

Il palazzo vecchio, che era troppo angusto per accogliere l’importante re, viene raso completamente al suolo e viene iniziata la costruzione del nuovo palazzo ad opera dell’architetto Domenico Fontana. Alla fine il re di Spagna non arrivò mai a Napoli. La struttura originaria è quella del blocco centrale, infatti nell’800 nella parte bassa vengono sistemate delle nicchie murarie, contenenti varie statue raffiguranti le dinastie regnanti succedutesi a Napoli. Queste nicchie avevano lo scopo di dare una maggiore stabilità al palazzo, che altrimenti sarebbe stato cavo e vuoto nella parte bassa. Originariamente i due piani erano adibiti ad appartamenti reali e comprendevano, tra le altre, la sala di rappresentanza e la sala per le feste regie, ma dopo un incendio i reali occuparono solo il primo piano, anche perché possedevano altre regge nel Regno come quella di Capodimonte, Portici e Caserta, quest’ultima come sede estiva per scampare la calura estiva di città.
Piazza Plebiscito (foto in basso) chiamata anche Piazza Carolina perché dal prospetto del Palazzo prospiciente la piazza si affacciavano i reali per arringare la folla, è sempre stata una piazza importante per il popolo e proprio qui fu innalzato ufficialmente il primo albero della libertà (il primo fu innalzato davanti a Castel Sant’Elmo il 22 per l’arrivo dei francesi da un esiguo numero di patrioti) in seguito alla proclamazione della Repubblica napoletana, il giorno 29 gennaio del 1799. Alla cerimonia intervennero tutte le autorità e i rappresentanti del clero che avevano aderito agli ideali repubblicani i quali benedissero l’albero conferendogli un carattere sacro.
Nel Largo di Palazzo si teneva, durante i festeggiamenti per il Carnevale, la Cuccagna, rituale istituito dai regnanti borbonici allo scopo di ostentare ricchezza e per ottenere un vasto consenso

Piazza Plebiscito – Basilica di San Francesco da Paola

Piazza Plebiscito – Palazzo della Foresteria (Prefettura)
popolare. Esso prevedeva una struttura che ricalcava il modello di un giardino costruito su più piani ricco di generi alimentari, animali vivi e vestiario ad esclusivo beneficio del popolo. Quando il re dava il via sventolando il fazzoletto, iniziava il saccheggio. Per molti quella circostanza costituiva l’unica occasione per sfamarsi nei giorni successivi, date le misere condizioni di vita della maggior parte della popolazione.
Quando Maria Carolina giunse a Napoli nel 1768, aprì la sua corte agli intellettuali riformisti perché affascinata dalle idee illuministe e dalla Massoneria, che era stata messa al bando da Carlo di Borbone padre di Ferdinando IV. Questo le valse la definizione di monarca illuminata, nonostante il regime borbonico continuasse a tutelare gli interessi di un gruppo sociale molto ristretto in perenne ozio: la famiglia reale, la sua corte, il clero e i latifondisti, mentre il resto della popolazione viveva in condizioni di estrema miseria e ignoranza. Ma non tutti i nobili e il clero risultavano insensibili alle gravissime problematiche sociali ed economiche della plebe. Peraltro si andavano consolidando circoli di intellettuali frequentati da rappresentanti sia della borghesia, che della nobiltà e del clero che avevano recepito il messaggio riformatore di Antonio Genovese e le riflessioni di Gaetano Filangieri e agivano al fine di promuovere una riforma sociale. Molti tra questi intellettuali e nobili, prima del 1799, avevano frequentato assiduamente la corte; tra questi ricordiamo il dott. Domenico Cirillo, uomo di enorme cultura che era stato il medico personale del re o Eleonora Fonseca Pimentel, molto vicina a Maria Carolina nonché bibliotecaria di Palazzo. Entrambi furono condannati a morte dopo la caduta della Repubblica napoletana a cui aderirono con entusiasmo e convinzione.
Dopo la Rivoluzione francese e soprattutto dopo l’arresto di Luigi VI in Francia, le illusioni di tutta l’intellighenzia napoletana si infransero di fronte all’oscurantismo borbonico. Maria Carolina, da sovrana illuminata, incominciò una vera e propria persecuzione nei confronti delle logge massoniche filofrancesi e dei loro sostenitori.
Infatti, quando nel 1792 un ambasciatore francese chiede di essere accolto a Palazzo, Maria Carolina e Ferdinando, con l’appoggio dell’ammiraglio Nelson, non lo accettano perchè repubblicano. Questo susciterà l’ira dei diplomatici del direttorio francese (parlamento che aveva preso il potere durante la repubblica francese) che, approfittando della presenza delle truppe francesi sul suolo italiano (le truppe francesi già erano stanziate in Italia centrale per raggiunge Roma e dichiarare la repubblica cisalpina nel 1794) ordineranno loro di puntare su Napoli. Ferdinando IV di Borbone provó a tamponare l’avanzata francese che si espandeva verso sud andando con 12000 soldati verso Roma, dove riuscì ad ottenere un effimero successo. Infatti i francesi inviano altre truppe a sostegno degli sconfitti che riescono a far indietreggiare Ferdinando, il quale, raggiunta Napoli, si rende conto che non può più contrastare il nemico e decide di scappare con la moglie a Palermo sotto consiglio di Nelson. Nelson era tanto interessato a mantenere il potere su Napoli per motivi strategici perché essendo inglese, avrebbe altrimenti perso il controllo sui porti più importanti del Mediterraneo. Inoltre l’ammiraglio, in virtù della sua particolare amicizia con Carolina, deteneva anche il controllo dell’esercito austriaco (ricordiamo che Maria Carolina era austriaca). Il regno di Napoli era perciò in mani estere. I due sovrani da Palermo inviano a Napoli un proclama con cui informavano i napoletani che il re e la regina non erano più a Palazzo. Avevano portano con loro anche le riserve auree e avevano dato ordine all’ammiraglio Nelson di dare alle fiamme i granai della città e le navi della flotta regia stanziate nel golfo di Napoli. Così i rivoluzionari non avrebbero potuto disporre delle imbarcazioni per azioni rivoltose. Solo i granai verranno salvati.
DUE MARTIRI DELLA RIVOLUZIONE

Palazzo San Giacomo, o più semplicemente il Municipio, è un palazzo costruito nel 1800 in stile neoclassico, situato a monte della piazza di fronte al Maschio Angioino. Negli anni in cui ebbe luogo la rivoluzione napoletana del 1799 non esisteva quindi non può essere rappresentativo di quegli eventi, se non per le due lapidi marmoree che affiancano l’entrata del palazzo. Queste lapidi furono collocate nel 1865 per celebrare il ricordo di 116 patrioti giustiziati insorti contro la monarchia borbonica, fra il 1794 e la fine del Regno delle Due Sicilie. Tra questi il pugliese Emanuele De Deo (la lapide a fianco si trova nei pressi di Via Toledo), primo martire della rivoluzione napoletana, che si era trasferito a Napoli per frequentare, prima il Collegio degli Scolopi, poi la scuola privata di matematici e chimici tenuta da Carlo Lauberg e altri. In queste scuole De Deo ebbe modo di avvicinarsi alle idee liberali alimentando così il suo amore per la libertà e l’odio per tutte le forme di tirannia.
Quando nel 1794 Maria Carolina seppe di una cospirazione di giacobini, era già diventata ostile ad ogni innovazione in senso libertario, in seguito alla decapitazione di Luigi XVI e di Maria Antonietta, sua sorella. Durante una persecuzione fu arrestato anche De Deo che fino alla fine, mantenne un comportamento dignitoso nella convinzione che il suo sacrificio non sarebbe risultato vano. Fu torturato e impiccato a soli 22 anni.

Anche il nome di Eleonora Pimentel de Fonseca (il ritratto a fianco si trova a Palazzo Serra di Cassano) è scolpito su una delle due lapidi. Eleonora nasce a Roma nel 1752, figlia di un nobile di origine spagnola e di una nobile di origine portoghese. Si trasferiscono a Napoli perché ci sono dei forti contrasti tra lo Stato della Chiesa e il Portogallo. Eleonora vive a Napoli nei Quartieri Spagnoli, vicini al Palazzo Reale, luogo che lei frequenta perché ha rapporti di amicizia e condivisione degli ideali illuminati con Maria Carolina. Studia greco, latino, spagnolo e francese e compone opere letterarie. Entra a far parte della corte borbonica in qualità di bibliotecaria della regina Maria Carolina e dedica i suoi primi poemetti al re (in seguito cambierà il suo orientamento politico a causa del tradimento nei confronti degli ideali repubblicani giacobini manifestato da Maria Carolina).
Inizialmente la Pimentel è guidata dagli ideali illuministi seguiti dalla loggia massonica a cui aderisce anche la regina. Quando la massoneria viene abolita gli intellettuali tra cui la stessa Pimentel, la famiglia Cuoco e Gennaro Serra si ritrovano nei Palazzi Nobiliari, luoghi in cui iniziano a circolare ideali e opere francesi tra cui l’Encyciclopèdie di Diderot, tradotta dalla Pimentel. Nel 1778 Eleonora sposa il capitano Pasquale Tria de Solis, ma il suo sarà un matrimonio infelice a causa della violenza del marito dal quale riuscirà poi a separarsi. Poiché scoperta in possesso di libri francesi la Pimentel viene arrestata. Maria Carolina, al contrario di molti nobili del tempo, che hanno sacrificato i propri privilegi a favore della causa rivoluzionaria, per paura di perdere la testa si allontana dagli ideali illuministi e torna a condividere gli ideali monarchici borbonici. Così la Pimentel si allontana dalla corte borbonica e continua a tenere contatti con il Metastasio che le comunica che i francesi sono alle porte, in difesa della Repubblica giacobina. La Pimentel, arrestata dai borbonici, viene condotta nella prigione della Vicaria e successivamente liberata dai giacobini. Partecipa alla conquista del forte di Castel Sant’Elmo e alla proclamazione, il 22 gennaio 1799, della Repubblica Napoletana.
Per diffondere gli ideali della rivoluzione e della repubblica, Eleonora accetta l’incarico di dirigere il primo periodico politico di Napoli: il Monitore Napoletano. La Pimentel per educare i popolani al nuovo governo utilizza il dialetto napoletano e molti intellettuali per consentire la divulgazione degli ideali repubblicani attraverso il popolo organizzano spettacoli di marionette. Con il Monitore, Eleonora Pimentel attira a sè un tale odio da parte di Ferdinando e Maria Carolina di Borbone, che ne ordineranno l’impiccagione invece della decapitazione. Il cardinale Ruffo giunge a Napoli il 13 giugno e concede un’amnistia a tutti i patrioti della Repubblica, ma Ferdinando di Borbone la ritira e Eleonora viene quindi condannata all’impiccagione. Eleonora Pimentel de Fonseca viene impiccata in Piazza Mercato il 20 agosto 1799.